Passaggi di tempo

di Vitaliano Corbi

Lo sguardo della pittura di Antonio Barbagallo è frontale e ravvicinato. Frontalità e vicinanza sono condizioni favorevoli all'investigazione di ciò che appare sulla superficie del quadro. Potrebbero anche essere il punto di partenza per scoprire, tra le rughe e i cedimenti del terreno che pullulano il mondo dipinto da Barbagallo, la presenza di percorsi che vanno verso l'interno. Sarebbe, questo viaggio nelle viscere delle cose, un' avventura annunciata, una logica conseguenza di quell' osservazione dettagliata dei luoghi e della fittissima costruzione di mappe cui da anni l'artista ci ha abituati. Ogni quadro rinnova l'annuncio. Ma proprio l'infinito protrarsi dell'attesa ci fa capire che Barbagallo non ha nessuna intenzione di abbandonare la sua postazione e disporsi obliquamente, per incunearsi nei passaggi segreti. Sono convinto che in fondo non gli interessi ciò che è nascosto, ma ciò che viene sulla superficie. Gli piace osservare la brulicante rugosità di questa, lo spettacolo del suo frantumarsi in una miriade di episodi e dar vita a un paesaggio fatto di fibre e filamenti, di grumi, di solchi e lacerazioni: microeventi da osservare attentamente, appunto, frontalmente e da vicino, perchè non sfugga niente nel ribollire della materia che provoca inattesi affioramenti e collassi catastrofici. La frontalità ha certo anche un altro significato, in rapporto con la "normale" posizione ortogonale di un quadro rispetto alla direzione dello sguardo. Ma questa frontalità elementare, di primo grado, per così dire, raddoppiata poi da quella interna al quadro - senza per altro alcun rinvio alle valenze simboliche che nella storia della pittura l'hanno di volta in volta caratterizzata - provoca un effetto di occlusione del campo visivo, occupato interamente dalla compagine della superficie dipinta che si erge come un muro di fronte a noi. Questa superficie non apre orizzonti, non accoglie variazioni di grandezze ordinate in prospettiva. Non c'è neppure un accenno di quella "spedizione" dei contorni che suggerisce il degradare e il perdersi dei corpi sulla distanza, ma tutto è messo a fuoco con uguale nitidezza, perchè tutto possa apparire collocato alla medesima immutabile prossimità. I dipinti di Barbagallo mostrano lo spettacolo di un continuum materico ribollente, accidentato, teatro di vicende intricate, che saranno anche tracce e segni del passato, ma di cui conosciamo solo l'apparenza del presente. Un' apparenza asfissiante, per il suo gremire un' unica compatta superficie, estensione invalicabile di un corpo illimitato. La frontalità è, perciò, innanzitutto presenza che ci sovrasta da ogni parte, che non è possibile aggirare perchè non ha confini, ma è semmai essa stessa il confine ultimo della nostra soggettività. Immagine di un luogo altro da noi, contro il quale urtiamo e nel quale è impresso il sigillo della relazione ineludibile tra l' uomo e il mondo. Barbagallo utilizza quasi sempre una gamma cromatica dominante, poggiata su ampie zone d'ombra e sul loro lento diradare. Egli non ama i facili giochi della policromia né le contrastate e violente partiture di luci e di ombre, che attenuerebbero la percezione del continuum materico che, s'è detto, occupa interamente lo spazio dei suoi quadri. In questo spazio passano, però, rapidi fremiti di luce, riflessi colorati che svariano dalla vivacità di argentei chiarori ai caldi bruni del rame, allo splendore dolce dell'oro. Sono passaggi cromatici leggeri che accompagnano e ravvivano la visione del pullulare di microscopici eventi, un fermento di luci che s'accorda con quello incessante della materia. E tuttavia, o forse appunto per questo evidentissimo effetto sinergico, essi non sembrano trascorrere e morire sulla pelle del quadro. Nonostante la loro mobilità e la loro leggerezza, si direbbero indizi di mutamenti profondi, segnali di processi in corso che probabilmente non verranno mai interamente alla luce, non abbandoneranno mai la segretezza di una dimensione sotterranea, dove lo sguardo non può giungere. C'è qui, tuttavia, il ricordo del sogno alchemico di ripetere, nella trasmutazione dei metalli, la vicenda della creazione del mondo, una sorta di cosmogonia rinnovata attraverso la manipolazione degli elementi. Una metafora, infine, della capacità dell'arte di riscoprire nella dura frontalità del rapporto dell'uomo con il mondo la sostanziale unità di tutte le cose. Le radici della vita sono però inesorabilmente conservate e custodite in magiche ampolle da cui solo l'artista può, con sapiente dosaggio, farne dono nel corso di un pietoso viaggio: quello che Antonio Barbagallo fa, non solo dinanzi alla tela, ma anche nella preparazione dei materiali, quando raccoglie tasselli di mosaico da materiale di risulta, quando sulla spiaggia ricerca pietre di forma insolita, quando con tenacia, rabbia e pazienza svelle pezzi di binario morto dal selciato. Perché anche il leggero affiorare dei ricordi e delle immagini del passato è sempre il frutto di un vigile sforzo.

 

 

 

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